di Mina Barcone

«Hanno sparato alle nuvole»: la storia degli inutili ma leggendari "cannoni antigrandine"
«Hanno sparato alle nuvole». A chi è mai capitato di ascoltare questa affermazione pronunciata all’arrivo di una pioggia improvvisa? Chi parla si riferisce a ciò che è lecito definire una vera e propria “leggenda metropolitana” o meglio ancora “campagnola”: la storia dei cannoni antigrandine.  

Si tratta di dispositivi realmente esistenti, messi a punto alla fine dell’800 dall’austriaco Albert Stiger, sindaco della città di Windisch-Fejstritz e rinomato produttore di vino che si era messo alla disperata ricerca di un modo per proteggere le sue vigne dalla dannosa grandine.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per questo pensò di ideare un cannone a cono rovesciato lungo una decina di metri che, caricato a salve, mandasse verso il cielo un’onda d’urto procurata dall’esplosione di gas in una camera di combustione. L’obiettivo era “rompere” le nuvole, frantumando in questo modo i chicchi o evitando la loro formazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Trasformando la grandine in un’innocua pioggia il buon Albert sperava quindi di salvare i suoi raccolti e ci fu chi gli credette, per poco però, visto che l’esperimento fu velocemente abbandonato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Si trattava infatti di qualcosa privo di fondamento – afferma il meteorologo barese Raffaele Laricchia –. Probabilmente l’unica funzione che avevano realmente era quella di allontanare i volatili dai campi coltivati per evitare che mangiassero i frutti. Ma un dispositivo del genere non può mai avere la potenza necessaria per trasformare un chicco di grandine in piccole goccioline d’acqua. La sorgente dell’onda è tra l’altro troppo lontana dalla nube per produrre effetti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Fatto sta però che nel 1967 uno studio pubblicato da una prestigiosa rivista di meteorologia riportò alla ribalta i mitici cannoni. La ricerca dimostrava come un’onda d’urto riuscisse a danneggiare, seppur superficialmente, un cubetto di ghiaccio e quindi sembrò plausibile che potesse anche indebolire i chicchi di grandine.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Così tanti agricoltori di tutto il mondo cominciarono a dotarsi di queste “armi”. «Ricordo quando da bambino, nei pomeriggi d’estate giravo con mio nonno per le campagne di Adelfia e Rutigliano – racconta il 60enne Paolo –. Notavo che si sentivano dei botti e pensavo fossero fuochi d’artificio, ma sentivo il rumore e non vedevo le lucine. Il nonno così mi mostrava i coni rivolti verso il cielo, nei pressi dei campi coltivati a vite e mi spiegava che quei forti boati provenivano da quegli strani dispositivi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ben presto però i coltivatori si accorsero dell’inutilità dei cannoni, che furono così pian piano abbandonati nelle campagne. Perché se è vero che su internet c’è ancora chi li vende (a un costo che può variare dai 1700 ai 2500 euro), la stessa Organizzazione metereologica mondiale con un documento del 2007 ha affermato che non esistono basi scientifiche per poter stabilire che questi marchingegni funzionino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A sopravvivere è però rimasto il modo di dire (“hanno sparato alle nuvole”), esclamato ogni qualvolta una pioggia breve ma intensa arriva dal cielo a nutrire campi e terreni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Foto di Chaojoker


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Mina Barcone
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  • Vito Nicassio - Mi rammarico di contestare il contenuto di questo articolo in merito alla presenza sul territorio di Adelfia e Rutigliano di questo tipo di cannoni. In verità, tra gli anni '60 e '70 in quei territori furono utilizzati "missili antigrandine". Veri e propri missili con una testata al tritolo che esplodendo tra le nuvole producevano un'onda d'urto in grado di rompere i chicchi della grandine. I campi erano disseminati di rampe di lancio. All'arrivo dei temporali, gli agricoltori raggiungevano le rampe. Innestavano i missili che partivano a centinaia come katjusha in un campo di battaglia. Ma c'era ben poco di bellico, era solo la lotta di un esercito di piccoli diavoli che tentava disperatamente di difendere i frutti del proprio lavoro dalla furia della natura. Un racconto che aveva ad oggetto una di quelle epiche battaglie nelle campagne tra Adelfia e Rutigliano, qualche anno fa, vinse a Venezia il 1° Premio ad un prestigioso concorso letterario.


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